Wasserjungfer
Massimo Pulini
Da sempre l’arte danza con il visibile e con il vissuto. Come una ballerina a tratti ruota su se stessa e talvolta si discosta dall’abbraccio del reale, ma anche le sue evoluzioni più emancipate possono essere lette quali frammenti di un discorso intrattenuto col mondo. Fosse anche un litigio d’amore, ma sempre di relazione sentimentale si tratta. Inoltrandoci, per convenzione o per forzatura, negli stretti sentieri della sintesi si può affermare che la Scultura abbia storicamente due grandi miniere tematiche: il Corpo e la Materia. Mentre la Pittura è più strettamente rivolta a questioni sensoriali, percettive, nella scommessa o nell’illusione della loro persistenza. Di conseguenza si può dire che i due filoni aurei del dipingere siano il Ricordo e il Sogno.
Con questa esposizione al Museo della Città di Rimini Giovanna Caimmi sembra voler offrire un personale e limpido distillato delle due arti sorelle, quasi ci venisse chiesto, con quello, di fare un brindisi alla vita. Anche se forse è un brindisi russo, inquieto, di quelli che prevedono l’infrangersi del bicchiere.
Da una parte viene presentata una libellula di marmo che sfida, con un sol guanto, Corpo e Materia. La forma aerea per eccellenza del velivolo ronzante degli stagni viene sublimata nella pietra più lattiginosa e classica: il marmo. Attraverso un lentissimo e sensibile lavoro la ganga minerale è stata ridotta ai limiti estremi della fragilità.
Giustapposta a questa trasmutazione degli elementi, a questo funambolismo del mestiere, la sezione pittorica della mostra dispiega un diorama che contiene vari momenti paratattici, eventi in sequenza temporale che si mostrano tra loro simultanei. Come se ricordo e sogno fossero entro un unico flusso di esistenza. Il tema è apparentemente semplice: una bambina, o forse la sua ombra, gioca sull’argine di un corso d’acqua mentre a breve distanza aleggiano le presenze di due cani. Una puntuale evocazione delloStalker di Tarkovskij.
Ma c’è qualcosa di anomalo anche nell’esecuzione di questa carta geografica della memoria. Nel liquido dei pensieri pittorici si incontrano ninfee fotografiche che galleggiano qua e là. Anzi le immagini stampate, protesi meccaniche del ricordo, sembrano far sgorgare la pittura, al pari di sorgenti visionarie che da mnemoniche divengono oniriche.
Gli stessi cani del dipinto li ritroveremo in un video sospeso tra torpore e inquietudine.
Wasserjungfer è il titolo della mostra che in tedesco nomina la libellula, ma che letteralmente significa zitella d’acqua e definisce anche la condizione di nubile.
Forse merita di essere raccontata la vicenda che sta a monte di quella piccola scultura che aspira al volo.
Quando ancora Giovanna era una Wasserjungfer e frequentava il corso di Concetto Pozzati all’Accademia di Belle Arti di Bologna, lavorò per un intero anno scolastico alla libellula, per assottigliarne il peso e la forma, fino a giungere alla agognata trasparenza delle ali, con una cura e una delicatezza che solo un amore ossessivo può dare o chiedere.
Teneva costantemente protetta la sua sempre più esile creatura, conservandola in una scatola di legno ripiena di ovatta al pari di un nido. Gli ultimi ritocchi all’opera li diede il giorno stesso dell’esame, quando l’insetto di pietra era già sul proprio basamento, poco prima di andare a chiamare l’esigente professore per il verdetto. Mentre insieme si avvicinavano al laboratorio Giovanna stava dicendo qualche parola di circostanza a introduzione del proprio lavoro. Si può ben dire che rimase pietrificata quando trovò la borsa di una studentessa poggiata insensatamente sopra la colonna.
Le ali della scultura si erano spezzate, come sarebbe stato per l’insetto vero. Il bilanciere acquatico, ridotto a un bastoncino di zucchero, non aveva retto il peso dell’unico momento di distrazione. La ballerina di cristallo, lasciata per un attimo dal suo partner, era rovinata a terra, davanti a tutti, sul palcoscenico dell’esame.
Nei giorni successivi Giovanna aggiustò la sua macchina nubile e di lì a poco la vendette, cercando di non pensarci più. Solo oggi è tornata a chiederla in prestito per il museo riminese, per mostrare il bicchiere infranto di quel brindisi alla vita. Lontano come un sogno, un attimo dopo averlo vissuto.