WHAT REMAINS#
Leonardo Regano
Il tempo non c’entra per nulla. Mi ha sempre sorpreso che i miei contemporanei, convinti d’aver conquistato e trasformato lo spazio, ignorino che si può restringere a proprio piacimento la distanza dei secoli.
Marguerite Yourcenar [1]
What remains / Ciò che rimane
Cosa rimane di ciò che è stato? Una domanda che si ripropone, incalzante, varcata la soglia dell’ex Chiesa di San Mattia. Spazio oggi laico e votato alle arti, San Mattia non fa mistero della natura sacra delle sue origini, saldamente ancora manifeste. All’interno della ex chiesa si entra in silenzio e si continua a bisbigliare come per un senso di devoto rispetto. L’aura di un imprecisato tempo che fu ci accoglie e risveglia in noi il senso di scoperta e osservazione per quelle tracce che restano nelle stratificazioni delle sue rovine, dei suoi passati, delle sue diverse vite.
Davanti agli occhi, si svela la grande aula una che contraddistingue la sua architettura rinascimentale e post-riforma; la visione è vincolata verso l’altare e verso quella sua scenografica impostazione tardo-barocca. Le fitte decorazioni parietali si alternano alle grandi lacune, lasciate lì libere a sottolineare la mancanza di ciò che è stato. Ciò che rimane è libera interpretazione della nostra mente. Lo sguardo corre lungo le cappelle laterali; ritroviamo nuovi frammenti e stratificazioni di pittura, scultura e partizioni architettoniche: è questo quel resta di un luogo che ieri fu certo della sua natura e che oggi è in uno stato ibrido, indefinito, in continuo divenire.
La sacralità che ieri era alimentata dal rituale religioso oggi si nutre del rapporto con le arti che accoglie al suo interno. Ma l’attuale gestione illuminata segue anni di abbandono e incuria, e queste lacune sono le cicatrici e il segno tangibile di un’azione umana che ha voltato le spalle a ciò che è stato, mancandogli di rispetto e creando tempesta, incurante del cumulo delle rovine che sale davanti a lui al cielo [2] .
What remains è un progetto che si fonda sul confronto e sul dialogo tra Giovanna Caimmi e Patrick Ceyssens artisti legati da un rapporto di scambio che dura da anni e che per l’occasione aprono la loro ricerca alle suggestioni ricevute dall’incontro con l’ex Chiesa di San Mattia. Nelle differenze delle loro pratiche si innesta un sodalizio saldo, costruito su una sensibilità libera e composita capace di restituire la complessità di ciò che rimane dell’essenza di questo particolare spazio. Caimmi e Ceyssens sono entrambi membri del gruppo di ricerca FRAME RESEARCH GROUP promosso da PXL- Mad University of Hasselt che sostiene questa mostra e che ha come mission l’indagine sulle possibilità espressive dall’immagine attraverso la commistione tra arti visive, architettura, filosofia e letteratura.
Le opere di Ceyssens ci accompagnano in un viaggio in cui passato e presente convivono, in un cortocircuito visivo che si fonda sull’essenza del ricordo. Le immagini di corpi di santi e paesaggi arcadici ispirate alle suggestioni colte in San Mattia, affiorano sul tessuto lievi e tenui, appena accennati come un’antica memoria che ritorna alla mente. Le trasparenze del supporto collegano queste immagini a trame geometriche, disturbi alla visione che accentuano l’idea di impressione: quella tipica della vacuità di un ricordo lontano ma anche, per analogia di termini, quella della tecnica incisoria in cui il soggetto si modella in una giustapposizione fitta e continua di linee.
Ceyssens crea così connessioni tra percezioni e ricordi, opere da leggere come mappe mentali che rivelano ciò che resta in noi di quanto visto e quello che invece la mente trasforma in una nuova possibilità espressiva. Ceyssens, in fondo, ci presenta un nuovo pluralismo dell’immagine, in bilico tra ciò che rimane e ciò che potrà essere, in un cammino di senso volutamente non tracciato ma lasciato libero all’interpretazione personale.
Le suggestive evanescenze di Patrick Ceyssens cedono il passo al tumultuoso immaginario onirico in cui ci proietta Giovanna Caimmi. Tra i due si rivela un dialogo e uno scambio profondo che li unisce oltre l’evidenza di una ricerca così apparentemente lontana. Per uno strano alternarsi di ispirazioni i due artisti, uno fiammingo e l’altra italiana, guardano alle tradizioni iconografiche dell’altro come riferimento: Ceyssens si perde nella arcadia felice, nella rovina solida e magnifica di matrice piranesiana; Caimmi si rifugia in un effetto grottesco e nordico che quasi conforta la sua energica espansione vitale e che ricorda le dirompenti visioni di Hieronymus Bosch.
Nelle sue opere, l’artista svela il racconto di un mondo che perde ogni certezza e si sgretola, colto nell’attimo di implosione in se stesso. Le sue grandi carte sono testimonianze di visioni escatologiche, vorticose rappresentazioni di insiemi di corpi ibridi e mitologici che si fondono gli uni negli altri, in un ritmo fluido e caotico.
Alla geometria di ascendenza optical dei lavori del collega belga, Caimmi contrappone un’opera dall’intensità barocca, ricca di particolari e rimandi.
Al tempo lento dell’attesa e della scoperta per gradi a cui ci ha abituato Ceyssens, si sostituisce nelle opere di Giovanna Caimmi quello dell’impeto e della simultaneità della visione che irrompe inarrestabile. La Chute e la Dernière Chute raccontano di un continuo smottare di sassi e motivi vegetali, un intenso e struggente gusto per il rovinismo e il cruento che si stempera nella dolcezza del tratto e nella delicata cromia che li contraddistingue. L’artista moltiplica le immagini, le carica e ci conduce in un mondo altro fatto di memorie remote e suggestioni ancestrali. Il monumentale Re del Mondo, allestito sull’altare, evoca riferimenti alle visioni di conflitti morali e interni alla psicologia dell’uomo. L’opera di Caimmi è a tratti ipnotica, conduce la mente in un dedalo di impressioni e rimandi che si perdono tra ironia e terrore ma sempre intrisi di una grazia e una dolcezza perturbante e insolita, che caratterizza tutto il suo lavoro.
Leonardo Regano
Time has nothing to do with it. It has always surprised me that my contemporaries, convinced that they have conquered and transformed space, are unaware that one can shrink the distance of centuries at will.
Marguerite Yourcenar
What remains / What remains
What remains of what has been? A question that comes up again, pressing, as you cross the threshold of the former Church of San Mattia. Now a secular space devoted to the arts, San Mattia makes no secret of the sacred nature of its origins, which are still firmly in evidence. Inside the former church, one enters in silence and continues to whisper as if out of a sense of devout respect. The aura of an unspecified time gone by welcomes us and awakens in us a sense of discovery and observation for those traces that remain in the stratifications of its ruins, its pasts, its different lives.
In front of our eyes, the great hall a distinguishing feature of its Renaissance and post-Reformation architecture is revealed; our vision is bound towards the altar and its scenic late Baroque setting. The dense wall decorations alternate with large gaps, left vacant to emphasise the lack of what was. What remains is a free interpretation of our minds. Our gaze runs along the side chapels; we find new fragments and stratifications of painting, sculpture and architectural partitions: this is what remains of a place that yesterday was certain of its nature and today is in a hybrid, indefinite state, in constant flux.
The sacredness that yesterday was nourished by religious ritual today is nourished by the relationship with the arts that it houses within it. But the current enlightened management follows years of abandonment and neglect, and these gaps are the scars and tangible sign of a human action that has turned its back on what has been, disrespecting it and creating a storm, heedless of the heap of ruins that rises before it to the sky .
What remains is a project based on the confrontation and dialogue between Giovanna Caimmi and Patrick Ceyssens, artists linked by an exchange relationship that has lasted for years and who, for this occasion, open their research to the suggestions received from the encounter with the former Church of San Mattia. In the differences of their practices a strong partnership is grafted, built on a free and composite sensibility capable of restoring the complexity of what remains of the essence of this particular space. Caimmi and Ceyssens are both members of the FRAME RESEARCH GROUP promoted by PXL- Mad University of Hasselt, which supports this exhibition and whose mission is to investigate the expressive possibilities of the image through the mixture of visual arts, architecture, philosophy and literature.
Ceyssens’ works take us on a journey where past and present coexist, in a visual short-circuit based on the essence of memory. The images of saints’ bodies and Arcadian landscapes, inspired by the suggestions captured in St. Matthias, emerge on the fabric faintly and tenuously, barely hinted at like an ancient memory returning to mind. The transparencies of the support link these images to geometric patterns, disturbances to the vision that accentuate the idea of impression: that typical of the emptiness of a distant memory but also, by analogy of terms, that of the engraving technique in which the subject is modelled in a dense and continuous juxtaposition of lines.
Ceyssens thus creates connections between perceptions and memories, works to be read as mental maps that reveal what remains in us of what we have seen and what the mind transforms into a new expressive possibility. Ceyssens, after all, presents us with a new pluralism of the image, poised between what remains and what could be, in a path of meaning deliberately untraced but left free to personal interpretation.
The suggestive evanescences of Patrick Ceyssens give way to the tumultuous oneiric imagery into which Giovanna Caimmi projects us. Between the two, a dialogue and a profound exchange is revealed that unites them beyond the evidence of such apparently distant research. By a strange alternation of inspirations, the two artists, one Flemish and the other Italian, look to each other’s iconographic traditions as a reference: Ceyssens loses himself in the happy Arcadia, in the solid and magnificent ruin of Piranesi’s matrix; Caimmi takes refuge in a grotesque and Nordic effect that almost comforts his energetic vital expansion and that recalls the disruptive visions of Hieronymus Bosch.
In his works, the artist reveals the tale of a world that loses all certainty and crumbles, caught in the instant of implosion into itself. His large-scale works are testimonies of eschatological visions, swirling representations of hybrid and mythological bodies merging into one another in a fluid and chaotic rhythm.
To the geometry of optical ascendancy in the works of his Belgian colleague, Caimmi contrasts a work of baroque intensity, rich in detail and references.
The slow time of anticipation and step-by-step discovery to which Ceyssens accustomed us, is replaced in Giovanna Caimmi’s works by the impetus and simultaneity of vision that bursts forth unstoppably. La Chute and La Dernière Chute tell of a continual breaking up of stones and plant motifs, an intense and poignant taste for the ruinous and the bloody that is diluted in the sweetness of the stroke and in the delicate colouring that distinguishes them. The artist multiplies the images, loads them and leads us into another world made of remote memories and ancestral suggestions. The monumental King of the World, set on the altar, evokes references to visions of moral and internal conflicts in human psychology. Caimmi’s work is at times hypnotic, leading the mind into a maze of impressions and references that are lost between irony and terror but always imbued with a perturbing and unusual grace and sweetness that characterises all his work.
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Yourcenar, M., Taccuini di appunti, trad. it, in “Memorie di Adriano”, Giulio Einaudi editore, Torino 1988 p. 284 ↑
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In Angelus Novus, davanti al celebre e omonimo acquerello di Paul Klee, Walter Benjamin si chiedeva il senso di ciò che resta del passato, delle testimonianze di ciò che è stato e che sembra rivelarsi come predizione del futuro che ci aspetta. Un evento continuo che si traduce in un racconto unico, che si aggroviglia e si complica, si stratifica rendendosi tempesta davanti allo sguardo vigile dell’Angelus Novus. Benjamin descrive le macerie della storia come testimoni di un agire umano incapace di imparare dai propri errori, private della loro dignità per ciò che hanno prodotto o per quello che hanno rappresentato. «C’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta» cfr. W. Benjamin Angelus Novus. Saggi e Frammenti, a cura di Renato Solmi, ET SAGGI, Einaudi, Torino 1962 p. 50 ↑