LORENZO BALBI
Loopholes
La grande installazione di Giovanna Caimmi, concepita spazialmente e
concettualmente per gli spazi della galleria, riesce a mutarne completamente
una stanza, adattandosi ad essa perfettamente, anche negli angoli e nella
spigolosità, uniformandosi, calzando, nello spazio e diventando allo stesso
tempo indivisibile come se qui fosse sempre esistita e andasse solo
riscoperta, svelata. Concepita in tempi di lockdown e di limitazione, la grande
feritoia continua può essere letta come un tentativo di evasione, come uno
squarcio sull’oltre che l’artista ritaglia dal proprio spazio interiore diventando
una finestra sul mondo esterno, un desiderio di immaginare un “fuori
possibile” osservabile senza essere visti. Guardare fuori significa spesso
cercare di evadere, vuol dire cercare ad ogni costo una libertà di cui ci si sente
privati, significa tentare di allargare i propri orizzonti o semplicemente fuggire
con la mente. Ma guardare fuori, a volte, equivale a guardarsi dentro.Il mondo
percepibile dalle lunghe orizzontali vedute di Giovanna Caimmi è un universo
ideale, scandito dalle coordinate Nord/Sud/Ovest/Est, identificabile in temi
(progresso tecnologico, cambiamenti climatici, stravolgimenti sociali, esplorazioni naturali) ma mai esattamente decifrabile, come se l’artista chiedesse in realtà ad ognuno di noi di trovare la propria visione, il nostro unico e personale possibile mondo esterno.
VALERIO DEHÒ
Memoria dal passato di Giovanna Caimmi
Ho scritto per la prima volta sui lavori di Giovanna Caimmi nel 1999 in
occasione di una mostra dalla Loretta Cristofori in cui centrava qualcosa anche
Emilio Mazzoli di Modena. Ne venne fuori anche un bel catalogo su una serie
di terrecotte strane, molto belle, con temi anche esoterici come quello del
bardo proveniente nientemeno che dal “Libro tibetano dei morti”. Da allora,
complice anche la figura del suo compagno di allora che gestisce una libreria
di cose ultraterrene e bizzarre, ho sempre portato con me un vago sapore
medianico, quando penso a Giovanna. Anche oltretombale. Associai le sue
terrecotte complesse e barocche ad una forma di fascinazione cimiteriale. La
morte è barocca, ingenuamente egalitaria, eccessiva. Per questo da allora
penso a Giovanna come ad una donna e un’artista lunare e “afgana”, per citare
Paolo Conte. Anche l’ultima sua mostra in san Mattia che mi ha accompagnato
a vedere, aveva un lucore sepolcrale, perfetto per il suo lavoro. Ha qualcosa
della Persefone mitologica, conoscerla è una discesa agli Inferi, piuttosto che
un viaggio al centro della terra con Jules Verne. Quando so d’incontrarla
porto sempre con me una torcia elettrica che mi illumini sulla strada del
ritorno. Perchè se è bello scendere, figuratevi risalire.
CARMEN LORENZETTI
La molteplice fenomenologia di Giovanna Caimmi
Giovanna Caimmi ha attraversato diverse pratiche nel suo lavoro, utilizzando
la fotografia, il video e la performance, ha spesso lavorato partendo da
immagini fotografiche poi modificate pittoricamente seguendo il metodo
della “postproduzione”, finchè nel 2014 ha avuto un’illuminazione
inaugurando un percorso affascinante e altamente personale basato sul
disegno. La svolta è arrivata “rovesciando le palpebre” e immergendo se
stessa nella propria storia biografica, familiare e femminile. La macchina da
cucire usata dalla mamma è diventata il mezzo trasformatore di un processo
basato su carte veline incollate (ricucite) l’una sull’altra e una accanto all’altra
come in un patchwork, sulle quali costruire con il disegno una storia rigogliosa
dove uomo, natura e animale si fondono in una continua metamorfosi e dove
l’identità si perde a favore di un sentimento panico e omnicomprensivo. Il fare
del disegno quindi diventa ricomporre storie, ricucire memorie, costruire
mondi i cui labili confini rimandano a sogni e fantasie mitiche ed ancestrali.
Vale Palmi – Studio La Linea Verticale
L’installazione site specific ritagliata nello spazio della galleria da Giovanna Caimmi ci
scombussola e ci fa perdere sia il senso dello Spazio che il senso del Tempo. Questa feritoia immaginifica, che percorre orizzontalmente ed ininterrottamente i quattro punti cardinali, infatti, sfonda le pareti per permetterci di osservare, dal nostro piccolo mondo ordinario, la Realtà fatta di-segno. Divagando in un contesto tanto spaziale quanto temporale, ad ogni volgimento dello sguardo o ad ogni passo, ci ritroviamo tra passati attesi, presenti assenti e futuri perduti. I colori slavati di questi sottili ricordi collettivi del futuro, di cui l’artista si fa messaggera, vincono il bianco opalescente della carta e il nero fuligginoso del passato.
Nord, Est, Sud, Ovest…i 360 gradi d’orizzonte di Giovanna sottolineano, in realtà, la presenza di un quinto e fondamentale punto cardinale atemporale che si erige metaforicamente e verticalmente al centro della sala: La ≪via retta≫ qui non è divagare né verso est né verso ovest; è salire sulla vetta, ovvero tendere al centro, è l’ascensione al di fuori delle dimensioni cartografiche, la scoperta del mondo interiore (…). 2