Alice Rubbini
HEAVEN
Heaven, il paradiso annunciato dal titolo, è creato attraverso la materia, attraverso la stratificazione e sovrapposizione della carta, candida, leggera e spessa, fragile e materica quanto lo stesso essere umano che aspira a questo luogo, territorio evanescente da cui mai nessuno torna, e che appartiene, forse, alla nostra rassegnata e sensibile speranza che esista davvero e che ci accolga. La figurazione è tradotta dalla sovraimpressione di una trama fotografica che definisce i contorni della realtà visiva, accompagnata nella narrazione che viene a crearsi dalla traccia della mano che segue la mente, ovvero il gesto disegna l’inquietudine dell’ignoto che si nasconde nel cuore dei pensieri. Un segno dopo l’altro, così il fare compone l’opera, dà forma ad una ricerca linguistica iniziata ormai da tempo da Giovanna Caimmi, nata dalla fascinazione per l’opera del pittore fiammingo Hieronymus Bosch, e in questo frangente si riconosce nello studio del pannello di sinistra del “trittico delle delizie”. Anche senza volersi particolarmente addentrare è notevole come Giovanna Caimmi abbia approfondito e sviscerato ogni dettaglio dell’autore olandese, dalla minuzia dei singoli elementi allo spessore del pigmento, dalla corposità talvolta greve del colore alla visionarietà dell’iconografia così come all’indagine mistica e filologica messa in atto proprio attraverso il lavoro artistico, ovvero il fare arte come testimonianza socioculturale. Il candore della carta è spontaneamente, e direi volutamente, incombente, quasi un gradazione cromatica, una luce voluta e ricercata, che dà e dice qualcosa in più di sé stessa, un bianco che riflette e che attrae, che disegna e assorbe tonalità e profili delle figure che affiorano, a volte abbozzate, a volte chiare e definite. Sfumata nella progressione dei grigi, il disegno si svela attraverso simboli, corpus di precise esegesi, che in alcuni casi sono parte della stessa formazione dell’artista, come anche della sua propria, intima ensibilità e attenzione. Sulla carta sono riversate immagini spesso sovrapposte, talvolta nitide, sempre da scoprire e individuare. Il colore invece appartiene alla ricerca più recente o alla scultura e al video ed il tutto convive insieme, diventa un unicum uasi indissolubile, e così vale per la stessa scenografia espositiva. L’evocazione è palpitante, i riferimenti si rincorrono e si distinguono anche per chi osserva digiuno di fedele conoscenza, ovvero, l’opera invia tanti e tali indicazioni che ognuno di noi è portato ad immergersi visivamente nell’esatta direzione in cui si è evoluta la ricerca metodologica dell’autrice. Il paradiso qui sembra essere, appunto, soltanto luce, soltanto un pretesto, un riferimento didascalico, perché le figure non sono “paradisiache”, non sono rassicuranti, non sono quelle che noi vorremmo trovare nel nostro ideale angolo d’estasi. Non è il biblico regno di Dio da dove (si narra) siamo originati, l’eden nudo e puro di Adamo ed Eva o il rifugio di beatitudine e di speranza, senza dolore e enza rancore che vorremmo raggiungere. Giovanna Caimmi ci consegna un paradiso che appartiene all’ispirazione e alla citazione, all’esperienza, così come al misticismo e all’incertezza, alla fragilità umana, e sempre e comunque alla storia dell’arte che l’ha formata. Ed allo stesso tempo troviamo nelle opere, nella complessità delle sue instal- lazioni, la “messa in scena”, proprio come per un palcoscenico teatrale o un set videografico; ovvero sussiste una composizione, uno schema, che anche se originato talvolta dalla casualità, segue una struttura prospettica estremamente coinvolgente, anche questa parte dominante del progetto espositivo. Le sculture sono una presenza incombente e di contrasto, tra l’etereo e il corporeo, tra il greve e l’evanescente, chiaro e scuro, traccia e pigmento. Colori decisi, che mescolano la forma alla materia e la diversità delle superfici allo spazio. I video sono parte di queste, sono il supporto narrativo che crea armonia, che rende dinamico lo sguardo. Un’installazione complessa e semplice insieme, che possiamo definire come suggestione di un paradiso immaginifico, fatto ancor più di memorie, richiami letterari, poetiche attese, incanti onirici, come anche pennellate su pennellate di competenza, informazione, di studio, di messaggi e traduzioni, trasposizioni che passano dalla storia per abbracciare la contemporaneità. Un progetto che si è sviluppato attraverso la ricerca e il lavoro stesso, proprio partendo dalle sculture, passando dai video, traslati tramite l’animazione delle sculture stesse, passando poi dai frames per giungere all’immagine, al disegno e quindi al trasferimento su carta. Detto così sembra facile e immediato, ma non lo è. Heaven è un riassunto di questo percorso, lungo, meditato e metabolizzato, di cui senz’altro Bosch è il riferimento dominante ma assolutamente non unico. La ricerca e l’attenzione sempre viva spaziano e si confrontano in quella fonte inesauribile che è la storia dell’arte, nei suoi autori più particolari, come nell’evoluzione della sua esperienza e sperimentazione, nella dinamica di trasformazione del linguaggio in stile, carattere e distinzione, dei sogni in realtà, di ispirazione e vocazione in opera.